Se
la
rappresentazione
di
figure
della
Bibbia
e
Padri
della
Chiesa
aveva
lo
scopo
di
rafforzare
il
dominio
ecclesiastico,
l’unione
di
questi
con
le
iniziali
miniate
era
d’aiuto,
come
suggerirà
Ugo
di
San
Vittore
alla
metà
del
XII
secolo,
a
coloro
che
dovevano
studiare
i
testi
e
aveva
la
possibilità
di
aggrapparsi
a
questi
segni
per
ricordare
meglio.
Le
iniziali
decorate
in
modo
semplice,
privo
di
ornamenti
considerati
superflui,
sono
tuttavia
circoscritte
a
territori
come
la
penisola
italiana
che
in
questa
semplicità
vedono
un’applicazione
della
riforma
della
Chiesa,
partita
da
Cluny
e
arrivata
fino
a
Roma
con
Gregorio
VII.
Perché
al
di
là
delle
Alpi
la
situazione
si
presenta
molto
diversa.
L’arte
romanica,
come
anche
la
miniatura,
è
un
rigoglio
di
animali
e
di
creature
fantastiche,
che
sembrano
andare
in
contrasto,
con
il
loro
aspetto
pagano,
quasi
demoniaco,
con
i
dettami
della
Chiesa.
Note
sono
le
parole
di
san
Bernardo
di
Chiaravalle
che,
lamentandosi
delle
sculture
dei
chiostri
monastici,
nella
Apologia
ad
Guillelmum
abbatem
(ca.
1124
(XII,
29)),
si
chiede:
Che
cosa
vi
stanno
a
fare
le
immonde
scimmie?
O
i
feroci
leoni?
O
i
mostruosi
centauri?
O
i
semiuomini?
O
le
maculate
tigri?
O
i
soldati
nella
battaglia?
O
i
cacciatori
con
le
tube?
In
realtà
la
Chiesa
non
rifiuta
questo
immaginario
pagano
che
riemerge
dalle
tradizioni
e
si
fa
arte,
ma
lo
fa
proprio.
Nella
battaglia
moralizzante
dell’XI
secolo,
infatti,
questa
fantasia
selvaggia
e
demoniaca
trova
spazio
nell’interpretazione
simbolica
del
mondo
e
diventa
raffigurazione
del
male
contro
cui
lottare.
Ed
è
attraverso
questa
assimilazione
dell’immaginario
pagano
che
la
Chiesa,
consapevole
dell’impossibilità
di sconfiggerlo, ne permette la diffusione, anche nella miniatura.
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