I supporti: la pergamena, il papiro, la carta e l’avorio
Per
depilare
le
pelli
si
usavano
bagni
di
calce,
sebbene
le
tecniche
conosciute
siano
diverse:
le
fonti
riportano
una
durata
di
tre
giorni
per
questo
tipo
di
bagni
oppure
un
giorno
in
acqua
pulita
e
sedici
in
acqua
di
calce.
In
seguito
si
passava
alla
lavatura
e
alla
depilazione
con
un
coltello
a
lama
arcuata
e
a
taglio
smussato,
dopo
le
quali
la
pelle
veniva
ripassata
in
bagno
di
calce
fresca,
nuovamente
lavata
e
stesa
su
un
telaio
all’aria
fresca
per
tenderla
al
meglio
(fig.
2),
ribagnata
con
acqua
fredda,
lasciata
asciugare
e
–
operazione
molto
delicata
–
raschiata
con
il
coltello.
Queste
ultime operazioni erano ripetute fino all’ottenimento di
una superficie il più possibile liscia.
Raggiunto
il
risultato
voluto,
si
procedeva
alla
smerigliatura,
ovvero
allo
sfregamento
con
polvere
di
pomice
o
con
una
materia
simile,
per
poi
passare,
dopo
aver
inumidito
la
pelle,
all’asciugatura
in
tensione
su
un
telaio
e,
infine,
alla
tagliatura
in
fogli
della
grandezza
voluta.
Le
molteplici
operazioni
precedenti,
tuttavia,
non
erano
sufficienti
ad
abbattere
l’untuosità
naturale
della
pelle.
Per
questo,
prima
di
applicare
l’inchiostro,
la
pergamena
era
trattata
con
dell’appretto,
che
fosse
polvere
di
creta
o
altra
polvere
bianca
mescolata
con
materia
incollante,
come gomma arabica, colla di pelle o di pesce.
A
partire,
almeno,
dal
III
secolo
d.C.
si
diffuse
l’usanza
di
tingere
la
pergamena
di
rosso
e,
a
volte,
di
giallo.
Per
ottenere
il
rosso
veniva
usata
la
porpora
o
altri
coloranti,
quali
il
folium
–
o
tornasole
–,
estratto
dalla
Crozophora
tinctoria
o
il
decotto
di
oricello
ricavato
da
un
lichene,
la
rocella
tinctoria
.
Questa
consuetudine,
tuttavia,
dal
V
secolo,
si
fece
più
sporadica,
in
particolare
per
la
rarità
della
porpora,
di
difficile
preparazione
–
essa,
infatti,
si
ricava
dall’ossidazione
della
secrezione
ghiandolare
di
alcune
murici
–,
fino
a
essere
riservata
solo
ad
alcune
parti
del
libro,
come
il
frontespizio.
Per
ricavare
il
giallo,
invece,
si
utilizzava
lo
zafferano
che,
essendo
un
colorante
vegetale,
come
il
folium
e
l’oricello,
possiede
una
scarsa
resistenza
alla
luce.
Nonostante
questo,
lo
zafferano
continuò
a
essere
usato
per
tingere
le
pergamene,
soprattutto
in
considerazione
della
scarsa esposizione alla luce dei manoscritti, spesso tenuti al riparo e ben protetti.
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