Siamo
ad
ottobre
e,
da
più
di
cinque
mesi,
come
mostra
la
parte
inferiore
dell’illustrazione,
a
sorvegliare
il
sarcofago
del
santo
patrono
vi
sono
dei
custodes
,
sei
nobili
cavalieri
–
al
centro
–
in
rappresentanza del clero e dell’aristrocrazia, e dodici cittadini – ai lati –, incaricati del popolo.
La
miniatura
immortala
il
momento
dell’apertura
del
sepolcro,
di
dimensioni
spropositate,
ad
indicare
la
grandezza
e
l’importanza
di
san
Geminiano,
di
cui
si
intravede
appena
il
corpo.
A
sollevare
la
lastra
e
a
vedere
per
primo
le
sacre
reliquie,
tuttavia,
non
è,
come
la
prassi
imporrebbe,
il
vescovo
successore
di
Geminiano,
Dodone,
ma
Bonsignore
–
raffigurato
a
destra
–,
per
di
più
insieme
a
Lanfranco
–
a
sinistra.
Quest’ultimo,
che
si
appropria,
ancora
una
volta,
di
un
ruolo
non
suo,
rappresenta
l’intero
popolo
di
Modena,
o
almeno
la
parte
più
benestante
di
esso,
che,
di
lì
a
qualche
anno,
nel
1135,
rivendicherà
la
propria
autonomia
dall’episcopio
modenese
istituendo il Comune.
La
scena
descrive
anche
la
processione
dei
personaggi
più
in
vista
verso
le
spoglie
del
santo
patrono.
A
sinistra,
a
fianco
dell’architetto
Lanfranco,
si
vede
Matilde
di
Canossa
che
porta
in
dono
quelli
che
la
Relatio
chiama
pallia
insignia
,
ovvero
dei
tessuti
preziosi;
a
destra,
a
fianco
di
Bonsignore,
si
trova
Dodone,
con
in
mano
un
calice
munito
di
patena.
Ai
lati
si
intravedono
le
persone
convenute
alla
cerimonia.
Totalmente
assente,
nella
rappresentazione,
invece
è
papa
Pasquale II (1099-1118), indizio, forse, questo, del filoimperialismo del miniatore duecentesco.