Introduzione
Alla
fine
dei
Moralia
in
Iob
di
Gregorio
Magno,
trascritti
nel
945
nel
monastero
di
Valeránica,
nella
Spagna
centro-settentrionale,
lo
scriptor
Florentius
rivolge
queste
parole
all’inconsapevole
lettore:
Il
lavoro
dello
scriba
è
il
ristoro
del
lettore.
Il
primo
toglie
le
forze
al
corpo,
l'altro
sostiene
la
mente.
Perciò,
chiunque
tu
sia,
che
benefici
di
questo
lavoro,
non
trascurare
di
ricordare
la
fatica
di
chi
ha
compiuto
quest’opera:
e
possa
Dio,
invocato,
dimenticare
le
tue
colpe.
Amen.
E
attraverso
le
tue
preghiere
possa
tu
ricevere
la
giusta
ricompensa
nel
momento
del
giudizio,
quando
il
Signore
comanderà
che
essa
venga
distribuita
ai
suoi
santi
fedeli.
Chi
non
sa
scrivere
non
lo
considera
una
fatica,
ma
se
vuoi
un
racconto
dettagliato
ti
dirò
che
il
lavoro
è
duro:
annebbia
gli
occhi,
curva
la
schiena,
schiaccia
le
costole
e
il
ventre,
fa
dolere
le
reni
e
tutto
il
corpo.
Dunque,
o
lettore,
volta
le
pagine
delicatamente
e
tieni
le
dita
lontano
dalle
lettere,
poiché
come
la
grandine
toglie
fecondità
alla
terra,
così
il
lettore
incauto
rovina
la
scrittura
e
il
libro.
Infatti,
come
ai
marinai
è
gradito
trovare
il
porto
finale, così per lo scriba è l'ultima riga. Fine. Dio sia sempre lodato.
[Labor
scribentis
refectio
est
legentis,
hic
deficit
corpore
ille
proficit
mente.
Quisquis
ergo
in
hoc
proficis
opere
operarii
laborantis
non
dedignemini
meminisse,
ut
Dominus
invocatus
inmemor
sit
iniquitatibus
tuis.
Amen.
Et
pro
vocem
tuae
orationis
mercedem
recipies
in
tempore
iudicii
quando
Dominus
sanctis
suis
retribuere
iusserit
retributionem.
Quia
qui
nescit
scribere
laborem
nullum
extimat
esse
nam
si
velis
scire
singulatim
nuntio
tibi
quam
grabe
est
scribturae
pondus:
oculis
caliginem
facit,
dorsum
incurbat,
costas
et
ventrem
frangit,
renibus
dolore
minmittit
et
omne
corpus
fastidium
nutrit.
Ideo
tu
lector
lente
folias
versa,
longe
a
litteris
digitos
tene
quia
sicut
grando
fecunditatem
telluris
tollit
sic
lector
inutilis
scribturam
et
librum
evertit.
Nam
quam
suavis
est
navigantibus
portum
extremum
ita
et
scribtori
nobissimus
versus.
Explicit.
Deo
gratias
semper]
(testo
originale
latino
da
Catherine
Brown,
Remember
the
hand:
bodies
and
bookmaking
in
Early
Medieval
Spain
,
in
«Word
&
Image»,
XXVII
(2011),
3,
pp. 262-278, p. 272).
Il
lavoro
di
chi
stava
sui
libri,
li
trascriveva
o
li
miniava,
infatti,
era
tutt’altro
che
piacevole.
Era
una
vera
e
propria
fatica,
alla
quale,
chi
si
avvicinava
e
si
avvicina
anche
oggi
ai
manoscritti
realizzati
nel
corso
dei
secoli,
non
dava
e
non
dà
il
giusto
peso.
E
non
è
dunque
casuale
che
siano
molti
i
codici
che,
nell’ultima
pagina,
riportano,
come
colophon
,
parole
simili
a
quelle
di
Florentius, che chiedono un poco di considerazione per il lavoro e di rispetto per l’opera.
Queste,
tuttavia,
spesso
sono
le
espressioni
degli
scribi,
sui
quali
sono
giunte
maggiori
testimonianze
rispetto
ai
miniatori.
Che
cosa
sappiamo,
invece,
di
questi
ultimi?
Cosa
sappiamo
del
loro
lavoro
e
dei
cambiamenti
e
le
evoluzioni
che
la
figura
del
miniatore
ebbe
tra
il
primo
Medioevo e l’epoca rinascimentale?
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