Il
primo
autoritratto
certo
e
attribuibile
si
ha
solo
nel
tardo
XI
secolo.
Lo
si
trova
nel
colophon
al
Commentario
al
profeta
Isaia
di
san
Girolamo,
dove
il
monaco
Hugo
di
Jumièges
si
definisce
pictor
et
illuminator
e
si
rappresenta
come
un
calligrafo,
con
la
penna
infilata
nel
calamaio
nella
mano
sinistra
e
il
coltello
nella
destra
(fig.
1).
Si
tratta
di
un
passo
significativo
verso
la
consapevolezza,
da
parte dei miniatori, del proprio ruolo.
L’arte
miniata,
tuttavia,
non
era
riservata
solo
ad
abati,
vescovi
e
monaci.
Anche
prima
del
Mille,
probabilmente,
vi
erano
miniatori
laici
che
frequentavano
gli
scriptoria
monastici.
Ma
è
solo
con
l’XI
secolo
che
essi
iniziano
ad
essere
attestati.
Alcuni
documenti
dei
primi
anni
del
XII
secolo
parlano
di
Nivardus,
un
artista
lombardo
trasferitosi
nella
Francia
centrale,
presso
l’abazia
di
Fleury.Esistono
anche
delle
immagini
che
ritraggono
miniatori
laici
all’opera.
Esempio
ne
è,
ad
esempio,
l’illustrazione
presente
nel
Libro
delle
Pericopi
realizzato
a
Echternach
verso
la
metà
dell’XI
secolo,
ora
a
Brema
(Staats
und
Universitätsbibliothek,
cod.
b.
21),
dove
un
monaco calligrafo e un miniatore laico lavorano fianco a fianco.
O
la
rappresentazione
in
un
sacramentario
boemo
datato
1136
in
cui
lo
scriptor
R,
un
monaco,
il
pictor
laico
Hildebertus
e
l’assistente
di
quest’ultimo,
Everwinus,
anch’egli
laico,
sono
raffigurati
insieme
ai
piedi
di
una miniatura ritraente Gregorio Magno (fig. 2).
Un’altra
curiosa
illustrazione,
posta
all’interno
del
De
civitate
Dei
di
Agostino,
mostra
Hildebertus
ed
Everwinus
alle
prese
con
un
miserabile
topo
–
pessime
mus
–
che,
nel
tentativo
di
impossessarsi
del
pasto
del
maestro,
fa
cadere
un
pollo
dalla
tavola
(fig.
3).
La
presenza
delle
penne
d’oca
sul
tavolo
da
lavoro
di
Hildebertus
indica
che,
probabilmente,
questi,
oltre
a
essere
un
miniatore,
era
anche
uno
scriba
e
che
perciò
anche
questo
compito
poteva essere demandato a dei laici.
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