Se
il
gotico
internazionale
trova
nella
Padova
dei
Carraresi
un
centro
tra
i
più
attivi
in
Europa,
è
nella
Padova
passata
sotto
la
dominazione
veneziana
(1405)
che
la
miniatura
rinascimentale
trova
una
delle
sue
massime
espressioni.
Nel
Rinascimento,
infatti,
l’arte
miniata
continua
il
suo
dialogo con la scultura, l’architettura e la pittura, e raggiunge vertici altissimi.
La
presenza
a
Padova,
alla
metà
del
Quattrocento
(1443-1453),
di
Donatello,
scultore,
pittore
e
orafo,
e
della
bottega
di
Francesco
Squarcione,
capace
di
richiamare
artisti
del
calibro
di
Andrea
Mantegna,
porta
a
esperimenti
mai
compiuti
in
precedenza.
In
particolare,
a
essere
scandagliati
e
studiati
a
fondo
sono
tutti
gli
aspetti
riguardanti
l’espressività
umana,
l’illusionismo
prospettico
e
la
rievocazione
fantastica
dell’antichità,
che
diviene
il
contesto
ideale
in
cui
ambientare
ogni
opera.
Ed
è
questo
sperimentalismo
che
differenzia
il
Rinascimento
padano
da
quello
toscano,
profondamente
razionale e razionalista.
Tra
le
opere
più
rilevanti
della
miniatura
patavina
di
questo
periodo
si
possono
citare
il
Chronicon
di
Eusebio
di
Cesarea,
del
1450,
ora
alla
Marciana
di
Venezia
(Lat.
IX,
1
(=3496))
e
la
Cosmographia
di
Tolomeo,
del
1457,
conservato
a
Parigi
(Bibliothèque
Nationale,
ms.
lat.
17542),
dove
per
la
prima
volta
fa
la
sua
comparsa
l’
iniziale
antiquaria
–
erroneamente
definita
anche
mantiniana
–
ovvero
una
lettera
capitale
romana
usata
con
intento
illusionistico.
Più
di
tutte,
a
esprimere
la
forza
dell’incontro
tra
artisti
diversi,
è
la
Passio
sancti
Mauricii
(fig.
63,
Assemblea
dell’Ordine
della
Luna
crescente),
nella
quale
sono
presenti
miniature
attribuite,
tra
gli
altri,
a
Mantegna,
Giovanni
e
Leonardo
Bellini, e Girolamo da Cremona.
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