Gli
unici
personaggi
certamente
individuabili
sono
la
grancontessa,
unica
di
cui
viene
riportato
il
nome
(
Matildis
comitissa
)
e,
identificabili
dal
confronto
con
la
scena
successiva,
il
vescovo
di
Reggio
Emilia
Bonsignore,
a
sinistra,
che
dialoga
con
Matilde,
e,
come
detto,
Lanfranco,
a
destra,
entrambi
vestiti
di
rosso
e
di
blu,
i
colori
dell’autorità.
Bonsignore,
naturalmente,
porta
i
paramenti
episcopali,
mitria
in
capo
e
pastorale
nella
mano
sinistra.
Lanfranco
si
distingue
per
il
copricapo,
la
barba
e
l’asta
per
misurare
tipica
degli
architetti,
che
ricorda
il
bastone
dei
legislatori
e
dei
sovrani,
tutti
simboli
della
sua
autorevolezza.
Quella
autorevolezza
che
gli
aveva
permesso
di pretendere la traslazione delle reliquie del patrono.
Degli
altri
personaggi
non
si
ha
certezza.
Nella
seconda
scena
è
presentato
il
vescovo
di
Modena
Dodone
–
in
carica
tra
il
1100
e
il
1136
–,
sulla
destra,
con
in
mano
un
calice.
Nella
prima,
tuttavia,
la
sua
figura,
comparando
i
paramenti
dei
diversi
soggetti,
non
è
identificabile
con
sicurezza.
Potrebbe
essere
il
vescovo
nascosto
dietro
Bonsignore.
Ipotesi
suggestiva
è
che,
pur
con indumenti diversi, egli sia il prelato alla sinistra del vescovo di Reggio.
Due
sono
gli
indizi
in
favore
di
questa
teoria:
il
primo,
supponendo
che
il
monaco
vestito
del
saio
nero
sia
Damiano
Damiani,
nipote
di
Pier
Damiani
e
abate
di
Nonatola
dal
1086
al
1112,
il
fatto
che
i
due
si
trovino
faccia
a
faccia
potrebbe
indicare
la
secolare
contrapposizione
tra
Modena
e
il
monastero
nonantolano;
il
secondo,
l’atteggiamento
del
vescovo
dal
pastorale
rosso
e
blu
verso
Bonsignore,
al
quale
dà
le
spalle
e
che,
a
sua
volta,
gli
calpesta
la
scarpa
sinistra.
Il
vescovo
di
Reggio,
infatti,
scavalca
totalmente
l’omologo
modenese
nelle
sue
prerogative
ed
è
possibile
ipotizzare che il miniatore abbia voluto descrivere in questo modo la contrapposizione tra i due.
segue pagina
pagina precedente